Estasi urbane è un progetto che coinvolge una peculiare percezione dello spazio urbano. L’approccio ermeneutico si indirizza verso uno stato di beatitudine stupefacente, di elevazione mistica del corpo e della mente che si confrontano con il razionalismo preordinato della città. È un atteggiamento che privilegia la visione rispetto allo sguardo, l’epifania estemporanea rispetto alla fissità prospettica e fondativa. La discriminante è rappresentata dalla forma libera e organica del movimento che si trasforma in performance effimera ed evanescente. L’estasi urbana è così l’afferramento dell’istante in cui transita l’imprevisto e l’incoerente, prevalendo sulla rigidità e sulla sterile consuetudine.
Tracce di fondazione (2011) è il monitoraggio di un’area di scavo sulla quale dovrà sorgere un edificio. Il paesaggio urbano è occultato dagli ingenti sbancamenti e volumi di terra. L’area di edificazione è il soggetto e l’oggetto della ricognizione che indaga capillarmente lo spazio e la temporalità sospesa di questo particolare momento del processo edilizio. L’apparenza informe e irregolare di un cantiere ingloba le tracce del futuro e i resti del passato, quasi come fosse uno scavo archeologico. Su questo sito si struttura l’intervento artistico. Il visionario accostamento tra strutture tessili lussuose di paillettes e grezze modularità edificatorie prospetta lo sconvolgimento dei canoni, in cui paradossalmente le opere di fondazione appaiono non finite e soverchiate dalla raffinatezza estetica della finitura del tessuto. La città nel suo atto fondativo diventa terreno, segno e nuova possibilità di spazio, secondo i dettami di un’architettura irregolare e destrutturata, rispetto a quelli di un costruire solido e impattante. L’apparato solenne del tessuto che riveste la fondazione rimanda ad una simbolica cerimonia ecistica, i cui postumi si leggono nell’aura sacralizzante resa dal materiale prezioso e luccicante, in contrasto con la dimensione desertica delle risulte terrose. Si profilano come miraggi nel deserto accampamenti nomadi e oasi che brillano al sole di ulteriori potenzialità abitative. Alla visione si sostituisce l’utopia di un luogo che attende di assumere un’identità rinnovata da un altro rituale mitico di fondazione urbana.
Pausa di costruzione (2011) documenta l’improvvisazione di una struttura che predilige l’anomalia all’analogia. L’effetto imponente di uno statico spontaneismo connota una sorta di monumento sovversivo della semantica architettonica sia nella forma che nel colore. Questa apparizione è sospensione di ogni coordinata spazio-temporale. Le forme fluide, sfacciatamente avveniristiche, sospendono l’attività frenetica e incessante di un costruire arido e meccanicistico. La struttura assume un’organicità quasi naturalistica in un panorama di gru, armature e cemento. L’immagine rompe ogni attendibilità, provocando l’evanescenza del pensiero in una pausa di meditazione zen, che fa tabula rasa di ogni conformismo o abuso architettonico.
Continuum (2008) illustra trasformazioni temporanee di un corpo nell’ambiente urbano. Il movimento del corpo umano struttura la messa in forma della materia, in relazione allo scorrere e al percorrere lo spazio. La performance avviene nei cantieri in costruzione e si caratterizza per la sovversione dell’uso consueto di materiali per l’edilizia. Si producono nel tempo strutture mobili, in trasformazione, che camminano, le quali permettono di indagare la dimensione aleatoria e informale del costruibile. Architetture mobili si interrogano sui contrasti costitutivi della città, fra rigidità e fluidità, fra immobilità e movimento verso la descrizione di una nuova topografia.
Superfici fonetiche (2009) è un’indagine che si concentra sugli spazi suburbani, luoghi dove il segno è dato dalla funzione, dove l’emergenza dello spazio vuoto è così predominante da rendere lo spazio un altrove. Nello scenario di un non luogo fluttuano sospese nel vuoto lingue di carta metallica. Le fasce che avanzano inesorabili sono come la fisicizzazione di un sonoro in perenne piegatura e come una superficie architettonica vibratile oscillano in aria cambiando forma e tonalità nel percorrere lo spazio aereo. Le superfici fonetiche si insinuano nel cemento senza mai toccare i confini della città. È una voce armonica e libera che che si muove sinuosa in uno spazio subliminale. Intona un canto che allude all’impossibilità della reclusione delle idee e all’ascolto delle carezze delle cose, della loro grandezza, anche nella solitudine di un elemento semplice ed essenziale.
Estasi urbane (2010) mostra un viaggio nella città attraverso la ripresa di dieci telecamere di sorveglianza applicate ad altrettante superfici murarie, che assistono allo svolgersi di una danza aerea. Di fronte a tale meccanismo di controllo un nastro rosso scrive nell’aria traiettorie calligrafiche, volute e arabeschi liberi e fluttuanti. Il video sintetizza concettualmente il contrasto costitutivo fra costrizione e libertà, fra razionalità ed immaginazione, fra austerità ed estasi, fra stasi e leggerezza, fra controllo della forma architettonica urbana e sociale e la volatilità di un gesto di danza inafferrabile. È simile alla propagazione di un suono, di un’onda, di un fregio mobile nell’aria lo svolgersi del nastro tattile che segue il proprio percorso genetico nello spazio intorno al costruito circostante. Sono superfici dalla mobilità veloce, estasi della liberazione materica, le riflessioni ondulatorie che guidano lo storyboard di una scrittura aleatoria e inafferrabile. La sintesi dell’opera si insinua laddove il poliopticon non può più vedere, laddove il meccanismo di sorveglianza perde la sua funzione di controllo rispetto al gesto aereo. Il nastro mobile non può che vivere nelle spire del suo stesso librarsi per contrasto alla violenza dell’omologazione disciplinare a cui la città contemporanea è sottoposta attraverso la biosorveglianza.