La Terra vista dalla Luna. La borgata di Fiumara di Fiumicino, baracche e rifiuti. La morale: “Essere vivi o essere morti è la stessa cosa”. Nella sua nuova fatiscente casa, la neosposa Assurdina si destreggia tra gli ammassi di oggetti abbandonati in una metaforica ricostruzione e il tugurio assurge, in una straordinaria bellezza primitiva, a comporre un capolavoro di installation art inconsapevole alla mente di una donna muta dai capelli verdi. Un grottesco miracolo in Technicolor fatto di assemblaggi di fortuna e di una sussistenza che non rinuncia al décor, quale spontanea attitudine. Oggetti ricomposti, prima rifiutati e poi accolti, senza alcuna apparente congruenza: giocattoli in plastica, una radio transistor militare, un poster di Charlie Chaplin, cianfrusaglie domestiche, bottiglie. Tutto si trasforma nell’habitat pasoliniano del sentimento primario della sopravvivenza.
Il preambolo si indirizza in modo sorprendente al lavoro teorico e artistico di Devis Venturelli, che si svolge attorno all’architettura e alle sue implicazioni spaziali. L’architettura è un fatto inconscio, visionario, inconsistente se non nella trama di un tessuto, è un’architexture, un procedimento anarchitettonico.
Le pratiche di autocostruzione e di libertà, quasi utopica, legate all’esplorazione di una sottocultura del costruire e del mettere in forma, hanno da sempre animato un interesse verso territori di sperimentazione, in cui la rigidità definitiva del progettare è continuamente osteggiata da un’epica aero-plastica o dalla precarietà surreale di impalcature oscillanti, tissurali, allo stesso modo luccicanti, sia che vengano sottratte alla moda o all’isolamento termico, in ogni caso molli, informali, duttili, nomadi. L’intero e cospicuo corpus di opere di Venturelli ha da sempre inventato abachi sui generis che nascono indiscriminatamente dall’incontro mediale tra immagine in movimento, esiti scultorei ed estensioni installative.
Objets d’Amour è un’installazione radicale – in senso letterale e teorico – che si architetta insinuandosi nelle forme rigide dello spazio di un interno. In chiave sinonimica tessuto, membrana, pellicola, schermo e dunque pelle costituiscono un glossario per definire la superficie frammentata che si fa volume. La couture di risulte di elastam struttura un’architettura tessile che si libra, tentacolare, nello spazio. Il carattere sartoriale si ascrive così al processo di costruzione che ha a che fare direttamente con la pratica di montaggio, propria del medium filmico, peculiare nella poietica di Venturelli. Lo schermo, in quanto involucro, preserva la sopravvivenza di oggetti esausti tratti dall’abbandono, dal rifiuto. La fine di un oggetto diviene il suo inizio, in senso pasoliniano.
Nella letteralità di un idiomatico Putting one’s house in order, all’atto pratico, gli oggetti si insaccano, si infilano, si infiltrano, si incagliano, si colpiscono, si sfiorano, si sovrappongono in statiche di contatto. Il ritorno all’esistenza implica il sacrificio della singolarità concreta della forma, per cui l’accidentalità dell’inerte si polverizza e precipita in ardite astrazioni metafisiche.
Ed ecco nascere similitudini, suggestioni, impressioni. Dalla sartorialità alla norcineria il passo è breve: budelli policromi appesi ospitano farciture di cui nulla è scoria. Ma l’architettura torna ad insinuarsi nella trasfigurazione di colonne dalle anatomie digestive, che si deformano in entasi impreviste, sfuggite ad ogni manipolazione di design. L’ambiente immerge in un paesaggio archeologico, crollo di ogni prevista rettificazione, a cui nessuna anastilosi può restituire forma di progetto. Si percepiscono i movimenti vivi di strutture dalle sagome cangianti, la cui superficie è luogo di incontro estetico tra esterno prima, ed interno poi. La cosa, ovvero res intesa anche come realtà, è oggetto d’amore, che la preserva in un’altra vita, in una seconda pelle. E sotto pelle si svela un’architettura profonda: lo scenario di un ambiente e-mozionale, propulsivo, in movimento nonostante la sua apparente stanzialità giacente, fa dell’andamento arterioso, quale intrico vascolare o labirinto cardiaco, una terra incognita, un luogo imperscrutabile della corporeità, una lezione di anatomia che rende visibile l’invisibile, l’improgettabile: laddove il taglio autoptico non è altro che inconscio cutting filmico.
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La Terra vista dalla Luna. The Earth seen from the Moon. The Fiumara suburb in Fiumicino - shacks and waste. The moral: “Being alive or being dead is the same thing”. In his new decadent house, the fresh bride Assurdina navigates her way through heaps of abandoned objects in a metaphorical reconstruction, as her hovel, in its extraordinary primitive beauty, comes to embody a masterpiece of installation art unbeknownst to the mind of a silent, green-haired woman. A grotesque Technicolor miracle made of makeshift assemblages, a way of surving that does not give up on decoration as a spontaneous attitude. Reassembled objects, which were first rejected and then embraced, without any apparent consistency – plastic toys, a military transistor radio, a Charlie Chaplin poster, household knick-knacks, bottles. Everything is transformed into a part of the Pasolinian habitat, expressing the primary feeling of survival.
The preamble addresses in a surprising way the theoretical and artistic work of Devis Venturelli, which centers on architecture and its spatial implications. Architecture is an unconscious, visionary fact, insubstantial but for the texture of fabric – it is an architexture, an architectural procedure.
Practices of quasi-utopian self-construction and freedom, having to do with the exploration of a subculture of building and shaping things, have always fueled an interest in experimental domains, in which the final rigidity of planning is constantly hampered by an aero-plastic epic or by the surreal instability of a swaying scaffoldings that are made of fabric, and are just as shiny. Whether they were drawn from fashion or from thermal insulation, they are invariably soft, informal, pliable, nomadic. Throughout his whole, substantial output, Venturelli has always come up with peculiar abacuses, born indiscriminately from the medial encounter between moving image, sculptural debris and installative extensions.
Objets d’Amour is a radical installation – both literally and theoretically – which builds its own architecture by seeping into the rigid forms of an interior space. In a synonymical constellation, fabric, membrane, film, screen, and hence skin, make up a glossary of words to define a piecemeal surface that turns into volume. The couture of Spandex remnants creates the structure of a textile architecture that hovers in space, spreading its tentacles. The building process thus acquires a taylor-like quality, which is directly related with the montage practice in film, and is peculiar to Venturelli’s poiesis. The screen, like a shell, preserves the survival of exhausted objects, saved from abandonment and rejection. The end of an object becomes its beginning, in the manner of Pasolini.
In the literal sense of the idiom Putting one’s house in order, what happens in practice is that objects cram, penetrate or infiltrate space, get stuck, hit or brush against each other, overlap, following the laws of contact statics. The return to existence involves sacrificing the singularity of form, so that the chance nature of the motionless object vaporizes, and plunges into bold metaphysical abstractions.
Thus similitudes, suggestions, impressions emerge. It is only a small step from dressmaking to pork butchery: multi-colored hanging entrails contain waste-free stuffing. But once again architecture filters in between transfigured pillars which recall the anatomy of digestion, and morph into unexpected entases, escaping the manipulation of design. The environment immerses us in an archaeological landscape, in which any prescribed corrections collapse, and which no anastylosis can ever turn into a project again. You can sense the living movements of the structures with their changing silhouettes, whose surface is the aesthetic meeting point between the outside - first, and the inside - later. The thing, or res, also seen as reality, is an object of love, which preserves the thing in another life, in a second skin. And under the skin, a deep architecture is revealed: the setting for an e-motional, propulsive environment, which moves despite its apparent, recumbent immobility, makes the processes in the arteries, seen as a vascular tangle or a cardiac labyrinth, a terra incognita, an inscrutable place of corporeity, an anatomy lesson that visualizes the invisible, the unplannable – in which the cutting of autopsy is nothing but an unconscious film cutting.
(© 2017, Fabio Carnaghi)